Charlie Chaplin in un fotogramma di Tempi moderni, 1936.
Il covid-19 costituisce senza alcun dubbio un evento shock che coinvolge tutti i paesi del mondo imponendo cambiamenti radicali a vari livelli: in primis a livello sociale, organizzativo, istituzionale.
Sicuramente il coronavirus ha accelerato alcuni processi di cambiamento organizzativo che in passato hanno trovato diverse resistenze, anche di natura culturale.
In questo periodo, infatti, si è diffuso rapidamente lo smart working, una forma flessibile di organizzazione del lavoro che riconosce ai lavoratori autonomia nella scelta di spazi, orari e strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. La Legge n. 81 del 2017 ne disciplina l’applicazione, precisando che lo smart working consente – se ben fatto – un incremento della produttività, un miglioramento delle condizioni di benessere psico-fisico e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Ma questo non è né ovvio, né semplice.
A fronte di diversi vantaggi che possono essere associati a questa forma di lavoro vi sono anche alcuni aspetti negativi da prendere in considerazione.
Quando mancano adeguate politiche gestionali da parte delle aziende, lo smart working può avere ricadute psicologiche negative sul lavoratore poiché, se da un lato il lavoratore può organizzare il proprio lavoro con maggiore autonomia e flessibilità, dall’altro lato rischia di sentirsi socialmente isolato ed escluso dalle dinamiche della vita aziendale. Questa condizione di isolamento professionale è spesso causata dalla mancanza di comunicazioni aziendali efficaci nonché dalla difficoltà di riconoscere il reale apporto del lavoro svolto dal lavoratore rispetto agli obiettivi organizzativi dirigenziali. Tutto ciò a prescindere da potenziali condizioni d’analfabetismo funzionale nei soggetti coinvolti o da fenomeni di mobbing.
Non si possono neppure trascurare le professioni intellettualmente impegnative per le quali lavorare da casa comporta un rischio di sovraccarico di lavoro e di stress, non essendo possibile definire un confine, fisico e mentale, tra lavoro e non lavoro.
Ma allora, per una buona conciliazione tra impegni di lavoro e famiglia lo smart working è sufficiente, è idoneo, è congruo? Dipende.
Dipende sicuramente da tanti fattori tra i quali si deve annoverare il carico di lavoro effettivo assegnato.
Anche in presenza di politiche ‘family friendly’, spesso i lavoratori si trovano a dover leggere email o smaltire arretrati in orari serali o notturni, rendendo vani i benefici dello smart working poiché la cultura del lavoro ‘always on’ non consente al lavoratore di tirare una linea di demarcazione precisa tra impegni professionali e vita familiare, incrementando il peso degli impegni in maniera spesso insostenibile (2020 Modern Families Index – ricerca UK condotta da Charity Working Families e da Bright Horizons).